Amministratore prestanome: responsabilità nei reati di bancarotta

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Amministratore prestanome: responsabilità nei reati di bancarotta

Responsabilità dell’amministratore prestanome nei reati di bancarotta

In questo articolo della rubrica diritto societario sarà trattata la responsabilità degli amministratori prestanome, cioè gli amministratori di diritto, per i reati di bancarotta. La posizione dell’amministratore prestanome sarà analizzata sulla base della sentenza emessa dalla Corte d’Appello dell’Aquila, 30 gennaio 2017 (ud. 25 gennaio 2017), n. 101.

Responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali

Occorre in primo luogo partire dalle responsabilità che la legge attribuisce agli amministratori, nei confronti dei creditori sociali. In particolare in base all’articolo 2394 del codice civile, gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. Tale obbligo si sostanzia nella realizzazione di una gestione che non porti al compimento di atti gestori che abbiano l’effetto di ledere il patrimonio sociale, il quanto tale patrimonio ha, tra le sue funzioni, quella di garanzia nei confronti dei creditori sociali.

Reati fallimentari: bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice

Per quanto riguarda i reati fallimentari, questi sono disciplinati dagli articolo 216 e seguenti della Legge Fallimentare. In particolare il reato di bancarotta fraudolenta consiste in atti compiuti dal soggetto fallito finalizzato al danneggiamento dei creditori sociali. Questi atti possono riguardare sia operazioni inerenti i beni e le utilità della società, si pensi ad esempio alla cessione di beni societari a soggetti vicini all’imprenditore, al fine di ridurre la massa attiva fallimentare sulla quale i creditori andranno a soddisfare la propria pretesa creditoria, o ancora all’esposizione di passività inesistenti, facendo partecipare alla procedura creditori fittizi, e riducendo il livello di soddisfazione dei creditori reali.

Tali atti possono anche riguardare operazioni finalizzate a non rendere possibile la determinazione reale del dissesto, con il fine di danneggiare i creditori, si pensi ad esempio alla distruzione, manipolazione e falsificazione delle scritture contabili, o ancora alla irregolare tenuta delle stesse, in maniera tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
La bancarotta semplice è imputabile agli imprenditori, o nel caso di società agli amministratori, i quali hanno sostenuto spese eccessive rispetto alla situazione economica della società, o hanno consumato notevole parte del patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestatamente imprudenti, o ancora hanno compiuto operazioni imprudenti con il fine di ritardare il fallimento ed hanno aggravato il proprio dissesto omettendo la richiesta del proprio fallimento.

In sostanza l’aspetto distintivo tra la bancarotta fraudolenta, e la bancarotta semplice è l’elemento psicologico, in quanto nel primo caso vi è il dolo, cioè la volontà di recare danno ai creditori, mentre nel secondo caso, ricorre la colpa, la quale potrà essere grave, derivante da comportamenti imprudenti ed antieconomici attuati dall’imprenditore (amministratore).

La responsabilità degli amministratori presta nome

Fatte queste premesse di fondo possiamo passare ad analizzare la sentenza in questione, emessa dalla corte di cassazione, la quale da indicazioni importanti circa la posizione dell’amministratore prestanome, ovvero l’amministratore di diritto, a fronte di comportamenti dolosi tenuti dall’amministratore di fatto, che hanno causato il fallimento con danno dei creditori.

Partendo dalla giurisprudenza formatasi in passato, l’imputabilità del reato di bancarotta fraudolenta all’amministratore di fatto deriva da una violazione omissiva riguardante gli obblighi gravanti sull’amministratore, se pur si tratti di amministrazione formale, in quanto l’accettazione della causa comporta l’assunzione consapevole degli obblighi gravanti sull’amministratore, e l’esercizio di una funzione di garanzia ex articolo 40 cp al fine di prevenire reati commessi da altri amministratori, anche dagli amministratori di fatto.

L’amministratore di fatto, benché condivida la funzione di garanzia svolta dagli amministratori di diritto, sui quali grava l’obbligo di impedimento di eventuali reati commessi dagli amministratori di fatto, e quindi di intervento a norma dell’articolo 40 del codice penale, non può essere dimenticato che è necessaria la ravvisabilità del dolo rispetto alla commissione del reato di bancarotta fraudolenta.

Elementi  alla base dell’imputabilità del reato di bancarotta fraudolenta all’amministratore prestanome

Affinché quindi all’amministratore prestanome sia imputato il reato di bancarotta fraudolenta, occorre non solo che abbia attuato il comportamento omissivo, riguardante la vigilanza, ma anche che sia presente l’elemento psicologico, ossia il dolo, cioè la consapevolezza che l’altrui azione, cioè quella dell’amministratore di fatto fosse illecita attraverso azioni distraeva, dissipava i beni e sottraeva le scritture contabili. Il dolo poi, è ravvisabile quando alla condotta omissiva si accompagni la percezione di anomalie, di segnali di allarme da cui possa desumersi quanto meno il rischio (accettato) della commissione di condotte illecite, ma e pur vero che tale condizione soggettiva non può essere desunta automaticamente dall’accettazione della carica.

La semplice mancata valutazione di tali segnali di rischio da cui era intuibile la commissione di reati da parte dell’amministratore di fatto dovuta al mancato controllo e quindi all’omissione dei propri doveri, consente solo un addebito di colpa in relazione alla negligenza dimostrata e al mancato adempimento di tale dovere.
La corte inoltre afferma che non è sufficiente, affinché sia ravvisabile il dolo, che i segnali di rischio siano percepiti, ma che questi siano apprezzati come tali. Quindi il fatto che il manifestarsi di alcuni segnali, non siano valutati dall’amministratore come rischiosi o indicativi di anomalia, comporta l’addebitamento di colpa, a non di dolo.

La posizione dell’amministratore in relazione alle scritture contabili

Per quanto riguarda le scritture contabili in ordine alla posizione dell’amministratore prestanome, la Corte ha affermato che non è condivisibile l’impostazione secondo la quale il dolo dell’amministratore di diritto sia riconducibile all’assunzione della qualifica formale, la quale implicherebbe l’automatica consapevolezza che esse sono uscite dalla sfera di controllo per passare sotto quella dell’amministratore di fatto, e ciò comporterebbe totale accettazione di ciò, come la sottrazione, la soppressione, e la irregolare tenuta delle scritture da non consentire la ricostruzione del movimento degli affari.
In tale situazione affinché sia imputabile all’amministratore di diritto il reato di bancarotta fraudolenta, occorre anche la prova della consapevolezza della sottrazione, dell’omessa o della irregolare tenuta delle scritture contabili.
In assenza di tali elementi quindi, all’amministratore prestanome potrà essere imputata la bancarotta semplice, e non la bancarotta fraudolenta.
Corte d’Appello dell’Aquila, 30 gennaio 2017 (ud. 25 gennaio 2017), n. 101

Raffaele Marino
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